26 marzo 2012

Fortress Europe

Ciao a tutti,

se anche voi siete interessati a temi quali il rifugio politico e il diritto d'asilo, vi segnalo il blog "Fortress Europe" curato da Gabriele Del Grande

Nel sito sono raccolte testimonianze, inchieste, documentazioni, dati agghiaccianti riguardo ciò che accade lungo le frontiere d'Europa.

Sconsigliato agli animi sensibili.

Un abbraccio!

Chi di Web Ferisce ...

Vi giro una notizia interessante! Grazie David per il suggerimento!
(fonte)

Il Cavaliere perde Mediaset(.com) 

La scarsa attenzione e, probabilmente, il poco amore verso le cose del web hanno giocato un brutto scherzo al Cavalier Berlusconi ed al suo impero televisivo.

Rti- Reti Televisive Italiane – gioiello di famiglia dell’ex Premier e storico nemico del web – ha, infatti, dimenticato di rinnovare la registrazione del nome di dominio www.mediaset.com con la conseguenza che una società americana se lo è aggiudicato ad un’asta ed ha, ora, iniziato ad utilizzarlo per vendere media-sets ovvero dispositivi di elettronica.

Inutili sono state le rimostranze della società del Cavaliere ed il procedimento esperito dinanzi alla competente autorità – il centro per l’arbitrato e la mediazione dell’Organizzazione Mondiale della proprietà intellettuale – nel tentativo di sostenere che l’aggiudicatario dell’ex nome a dominio di punta di casa Berlusconi avesse agito in mala fede.

Gli arbitri hanno respinto tutte le eccezioni dei legali della Casa del biscione e stabilito che questi ultimi non sono stati in grado di provare in alcun modo l’altrui mala fede e che, pertanto, legittimamente la Fenicius Llc, sta ora utilizzando il dominio www.mediaset.com.

L’espressione Mediaset che nel nostro Paese contraddistingue da decenni l’impero televisivo del Cavaliere, nel web è, secondo gli arbitri dell’Organizzazione Mondiale della proprietà intellettuale, un’espressione generica che legittimamente può essere utilizzata per la commercializzazione dei dispositivi informatici che le due parole che la compongono  – media sets – descrivono.

Una brutta batosta per l’orgoglio del Cavaliere ma, forse, un’occasione in più per rendersi conto che anche i più grandi ed i Signori dei privilegi, sul web, diventano gente comune soggetta a regole davvero eguali per tutti.

Dopo tante battaglie condotte da Rti contro il web, i pirati – veri e presunti – ed a favore di norme censoree [n.d.r. da ultimo il famigerato regolamento Agcom], con una battuta, ora, verrebbe da dire: chi il web ferisce, di web perisce.

Almeno sul web, Mediaset, sarà ora costretta a cambiar nome ed ad abbassare la cresta.

25 marzo 2012

We Need Love, We Love You!


(Fonte della foto)


Vi giro una news, un appello molto particolare che voglio condividere con voi!


Perché scoppi una guerra, è necessario un nemico da odiare. E' indispensabile che la macchina dei media manovrata dai governi crei il mostro. Israele deve odiare l'Iran, perché l'Iran odia Israele e la vuole distruggere. La parola alle armi. Lo dicono la TV, la stampa, i politici. Poi un padre, un israeliano scrive in Rete di amare ogni iraniano. Lui non ha intenzione di uccidere nessuno. Si può evitare una guerra con un appello dal web? Chissà. Per adesso, trentamila israeliani e iraniani si stanno scambiando messaggi e immagini di amicizia e rispetto impensabili solo settimana scorsa. Tutto è iniziato qualche giorno fa, con queste poche righe scritte da Ronny Edry di Tel Aviv.

"Ciao, sono Ronny. Ho 41 anni. Sono un padre, un progettista grafico, un insegnante, un cittadino di Israele. E ho bisogno del vostro aiuto. Ultimamente, nei telegiornali, sentiamo preannunciare una guerra. Enorme. I governi parlano di distruzione, autodifesa, come se questa guerra non avesse a che fare con noi. Tre giorni fa, ho pubblicato un poster su Facebook. Il messaggio era semplice: "Iraniani, non bombarderemo mai il vostro paese, vi amiamo". Accanto al poster ha aggiunto: "Al popolo iraniano, a ogni padre, madre, figlio, fratello e sorella. Perché ci sia un guerra tra di noi, è necessario che prima abbiamo paura l'uno dell'altro. Dobbiamo odiare. Io non ho paura di voi, non vi odio. Non vi conosco nemmeno. Nessun Iraniano mi ha mai fatto del male. Non ho nemmeno mai conosciuto un Iraniano … giusto uno a Parigi, in un museo. Un tipo simpatico. Qualche volta qui vedo un Iraniano in TV. Parla di una guerra. Sono certo che non rappresenta tutto il popolo iraniano. Se sentite qualcuno in TV parlare di un bombardamento su di voi … state certi che non sta rappresentando tutti noi. Non sono un rappresentante ufficiale del mio Paese. Ma conosco le strade della mia città, parlo ai miei vicini, i miei famigliari, i miei amici e a nome di tutte queste persone … vi vogliamo bene. Non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male. Al contrario, ci piacerebbe incontrarvi, prendere un caffè assieme e parlare di sport. A tutti coloro che provano lo stesso, condividete questo messaggio e aiutatelo a raggiungere il popolo iraniano."
In ventiquattro ore hanno iniziato a condividere il poster su Facebook. Nel giro di quarantott'ore gli Iraniani hanno iniziato a rispondere ai poster e ricambiare il loro amore per noi. Centinaia di messaggi che dicevano Israeliani "vi amiamo anche noi". Il giorno dopo eravamo in TV, sui giornali, prova del fatto che il messaggio stava viaggiando. Velocissimo.
Ora vogliamo fare in modo che il messaggio giunga ovunque, non solo alla comunità di Facebook, ma a tutti. Questo è un messaggio da parte della gente, per la gente.
Quindi, per favore, non odiare e aiutaci a diffondere questo messaggio." Ronny Edry

(Fonte)

Grazie Marco B. per la condivisione!

Israele // Iran > Non vogliamo nessuna guerra! NO WAR



18 marzo 2012

Kony 2012

Kony 2012, una campagna globale.
Please watch the video and share the content with your friends on FaceBook, Twitter and in your life!
Enrico

13 marzo 2012

Domenicanon #03


Più un mese dall'ultimo post. Mea culpa.
Alcuni di voi forse non se ne sono manco accorti, soprattutto grazie ad un rocambolesco salvataggio in zona Cesarini compiuto, con estrema maestria e sapienza, da Enrico "Muscio" Lomuscio. Altri, probabilmente, hanno passato le serate nell'angolo di un box doccia, con la testa tra le mani, i volti sommersi da lacrime e sapone, chiedendosi, tra un singhiozzo e l'altro, quando sarebbe uscita una nuova sparata del sottoscritto.


Bene fanciulli e fanciulle, datevi una sciacquata, asciugatevi le membra, piastratevi i capelli, accorciate le basette, limatevi le unghie, non c'è tempo per vestirsi, accappatoio e via, luci, motore, azione, Bergamo.

Studio cinema, o almeno i più pensano così. Non posso che provare comprensione per questo diffusissimo pregiudizio. L'altisonanza del nome, di cui si effigia la mia facoltà, può trarre, vagamente, in inganno: "Ingegneria del Cinema e dei Mezzi di Comunicazione". Essendo però io affetto da una strana forma di balbuzie selettiva, evito puntualmente di sciorinare l'intero nome con chiunque mi domandi qualcosa a riguardo dei miei studi.

...uno due tre... "Cosa studi?" ...cinque sei sette... "Ingegneria del Cinema" ...uno due tre... "Ma quindi sei un regista!" ...cinque sei sette... "No, sono un web designer" ...uno due tre... "Ah! ma cosa c'entra scusa?" ...cambio dama... "E' stato un piacere, ciao ciao..."

Tre anni di "Ingegneria del Cinema", quattro e mezzo effettivi, un solo corso sul Cinema, e non ho mai visto un set dal vivo. Fino a questa domenica. Alla buon'ora.


Cosa ci facessi lì rimane un mistero, o almeno vorrei rimanesse tale per ora. Anzi, per sempre. Che poi il significato di queste due parole mi è totalmente oscuro, o perlomeno lo trovo alquanto errato nel suo utilizzo. L'ingegnere che è in me uscirà fuori in tutta la sua fredda razionalità, o forse no, non so ancora dove voglio andare a parare. "Per sempre". Generalmente è rivolto al futuro: "ti amerò per sempre", "saremo amici per sempre", "sarai nel mio cuore per sempre". E potrei andare avanti per altre mille righe elencandovi frasi dal contenuto iperglicemico.


Nel momento in cui viene fatta questa affermazione viene sancito però un istante. Una frazione di momento. E cosa c'è di più lontano dall'infinito, dal "per sempre", se non un attimo? Il mio freddo raziocinio degno di un film alla "ritorno al futuro" mi suggerisce dalla regia che tutto ciò solleva un paradosso temporale di non poco conto. Se io amerò per sempre una persona... il mio amarla... deve valere anche al passato. Voglio dire, "per sempre" è in tutte le direzioni, indipendentemente dallo scorrere del tempo. No? Ne desumo che chiunque abbia mai fatto affermazioni del genere, compreso il sottoscritto, abbia sempre amato e sempre tradito. Allo stesso momento. Nello stesso istante.


Perché non essere realisti, meno ipocriti con se stessi e con il proprio partner, e utilizzare invece dei comodissimi e spazio-temporalmente corretti "da ora in poi", "per un po'", il gastronomico "quanto basta", "finché non tirerò le cuoia". E poi il dubbio è benefico.


Niente, pensavo che dalle profondità del mio cinismo ingegneristico risalisse un'anima romantica in grado di ribaltare l'intero monologo con un magistrale coup de théatre. Ho miseramente fallito.






Non so come chiudere questo post, ma se tu...
...sì proprio tu che stai leggendo...
...se tu sei innamorato...
...e sei un crononauta professionista...
 ...sappi che puoi ritenerti veramente fortunato.

Baci e abbracci.
Enrico.

13 febbraio 2012

Lune d'iPhone!


Posso, Cikko?
Grazie!
Null'altro che una parentesi, consideratemi, ve ne prego!
Sono qui per fillare il Domenicanon settimanale di Cikko, ma quasi per caso, eh.
Non crediate infatti che sia stato lì a prepararmi moralmente per questo evento inatteso!
Semplicemente, alle 14.30, finito corso, non avevo proprio voglia di ributtarmi nel loculo, perchè, checchè ne possa pensare io stesso, se ci entro, ci rimango!
Quindi sono partito direttamente alla volta dell'esplorazione di luoghi a me poco noti, ma vicini geograficamente (superata la strada dalla mia residenza).
Eh sì, perchè il clima era quello giusto: la stretta di freddo allentata, l'aria gonfia di pioggia (che poi è arrivata, ma è stata clemente), e io preso troppo bene; ed è questa la cosa più importante.
Poi, mentre esploravo, ho visto cose insolite, belle, curiose e artistiche che avevo bisogno di condividere. E quale occasione e luogo migliore se non questo? Poi, Cikko ci ha paccato! (ed è già la seconda settimana..!)
Quindi, benvenuti a..

Lune d'iPhone!

Vi lascio un momento riflettere su questa genialata.. ne sono troppo fiero (cioè, niente da inviadiare a Domenicanon, come costruzione della parola.. eh? eh? .. mm)
Bando alla ciancie!

that's me, Enrico (non Cikko!)

Come vi dicevo mi sono dato all'esplorazione: infatti volevo andare a capire meglio sta storia che avevo sentito secondo la quale avessi la Seine vicino casa.
Quindi armato di iPhone (con gMaps) e buone intenzioni, ho attraversato lo stradone che dalla residenza porta verso i fiume.
Mi sono trovato di fronte, i lavori. Però mancavano gli anziani che osservavano (ma solo in Italia ci sono? mmm). I lavori c'erano, e con loro c'erano operai, ruspe container, griglie e robe varie.

fango, griglie, astio

odio, giallo, vasche d'acciaio
vicoli lunghi e blu





Superati, e non semplicemente, questi primi ostacoli, e grazie alle indicazioni di un operaio locale, mi sono addentrato nel cosiddetto vicolo lungo e blu tramite una porticina con la scritta defense d'entrer, ma siccome sono un erasmus che viene dall'Italia ho fatto finta di essere in Italia, e sono entrato lo stesso.
Sono dunque passato accanto ad un muro che recintava una centrale energetica (gli esperti si facciano sentire), e presumo fosse elettrica, ma giudicate voi dalla foto.

centrale oltre il muro. sicuramente energia kooletica


Avanzando nel vicolo, ho trovato un'altra porta, socchiusa. L'ho aperta e mi sono meravigliato, perchè l'obiettivo era raggiunto: infatti ero giunto sulla riva del fiume. Nella seguente foto potete vedere due paletti verdi: io sono arrivato da lì dietro (si vede che altri italiani avevano tracciato il percorso alternativo).

Dite a Cikko che non me ne frega nulla del suo questionario, ve ne prego!


Mi avvio dunque per quello che ora, tramite una più attenta perlustrazione satellitare via gMaps, si chiama il Chemine de Halage, che scopro essere la passeggiata ideale per famiglie, cani, corridori e italiani. Il tutto fa parte del Parco del Chemin de l'Ile, un parco filosoficamente in essere (o divenire?) che sta prendendo forma. Mi trovavo sulla Promenade Bleue. Ok ok vi sto già confondendo. vi metto le foto:

paletti blu della promenade
il fiume, la Senna. e i moli rotti
i lavori nel parco. info













Scherzavo sugli Italiani. Sono brava gente. Bref, mi sono messo a camminare in questa bellissima passeggiata, respirando aria buona, osservando flora e fauna, laghetti ghiacciati, sculture attiviste e cattedrali urbane. Uno spettacolo. In più pochissima gente, davvero molti corridori (e se mi riesce ci vado anch'io!), anziani a passeggio (forse andavano verso i lavori), cani, e evasi.
Ma sì, perchè c'è il carcere!! proprio accanto! (censurato su gMaps!). Vi carrello qualche immagine delle cose di cui vi ho parlato!

panchine, alberi e sentieri spaziosi

colori in riva all'arno

power nature! in the ice

fiume ghiacciato. una pippa a beijing!

scultura. emergente dalla natura (non lo dico io!)

ponte come cattedrale urbana

spettacolo, enormit


Insomma, una bella passeggiata. Un post lungo che deve finire.
Eh sì, insomma, vabbè che ho fatto delle belle foto, ma per vivere a pieno un'esperienza così, bisogna esserci stati, aver respirato il profumo dell'erba quando l'aria è gonfia di umidità, prendersi la pioggia e provare sensazioni di avventurarsi in posti nuovi e incerti, e non sapere se stare facendo una cazzata o meno!
Grazie di avermi letto fin qua, io mi sono fatto un bel giro, e voi avete condiviso con me questo momento. Dunque, è fatta, la condivisione è completata, e l'informazione è stata resa disponibile!
Vi lascio con il lato artistico della mia scampagnata: i murales! ne ho visti di molto belli! ve li posto qui, ditemi che ne pensate e votate il vostro preferito!
Statemi bene, condividete, rispondete, commentate e sempre e comunque... ABSORB ... !

1 - ti piace? votala!

2 - ti piace? votala!

3 - ti piace? votala!

4 - ti piace? votala!

5 - ti piace? votala!

6 - ti piace? votala!

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13 - ti piace? votala!

14 - ti piace? votala!

15 - ti piace? votala!

16 - ti piace? votala!

17 - ti piace? votala!

Vi lascio una pianta dozzinale col percorso fatto! il cerchiolino indica casa mia, e le frecce indicano la direzione di marcia!

percorso!


Acqua pubblica: parte la Campagna di Obbedienza Civile

Ricevo questa informazione e ve la rimando.
Non pensate sia una cosa giusta? Perlomeno la presa in giro potrebbe non essere totale. Leggete e spargete voce!


Acqua pubblica: parte la Campagna di Obbedienza Civile

Il 4 e 5 febbraio è partita, con tante iniziative in tutta Italia, la Campagna di Obbedienza Civile per il ricalcolo della bolletta e per il rispetto del voto referendario, promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua

È partita in tutta Italia, la Campagna di Obbedienza Civile per il ricalcolo della bolletta e per il rispetto del voto referendario, promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua.
Con la pubblicazione, in data 20 luglio 2011, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 116 è stata sancita ufficialmente la vittoria referendaria e l’abrogazione della norma che consentiva ai gestori di caricare sulle nostre bollette anche la componente della “remunerazione del capitale investito”. Se non saranno le istituzioni a far rispettare l’esito del referendum, saranno le cittadine e i cittadini a farlo. Per questo lanciamo la campagna di obbedienza civile: ovvero il rispetto della volontà popolare eliminando il profitto dalle bollette.
La “remunerazione del capitale investito”, che ricordiamo, è pari al 7% della sommatoria degli investimenti effettuati nel periodo di affidamento al netto degli ammortamenti, nella generalità dei casi, incide sulle nostre bollette per una percentuale che oscilla, a seconda del gestore, fra il 10% e il 20%. Il referendum era stato proposto per far valere un principio chiaro: nella gestione dell’acqua non si devono fare profitti! E la risposta dei cittadini (95,8% a favore della cancellazione del profitto) non lascia alcun dubbio sull’opinione, praticamente unanime, del popolo italiano. Oggi, a distanza di alcuni mesi, risulta che, in tutto il territorio nazionale, nessun gestore abbia applicato la normativa, in vigore dal 21 luglio 2011, diminuendo le tariffe del servizio idrico. In altre parole tutti i gestori del servizio idrico italiano hanno ignorato con pretestuose argomentazioni l’esito referendario. Questo non può essere accettato!
La campagna di “obbedienza civile” consiste nel pagare le bollette, relative ai periodi successivi al 21 luglio 2011, applicando una riduzione pari alla componente della “remunerazione del capitale investito”. È stata chiamata di “obbedienza civile” perché non si tratta di “disubbidire” ad una legge ingiusta, ma di “obbedire” alle leggi in vigore, così come modificate dagli esiti referendari. Lo scopo principale della campagna di “obbedienza civile” è ovvio: ottenere l’applicazione del risultato che è inequivocabilmente scaturito dai referendum.

Per informazioni sulla campagna e gli appuntamenti nelle città: www.obbedienzacivile.it

7 febbraio 2012

Domenicanon #2389

Sette febbraio duemila e sessantotto.

L'altro ieri, Fabrizio e io, siamo andati al mare a Carmagnola per il suo decimo compleanno. E' la prima volta che mio nipote vede il mare. Mi ricordo ancora il cinque febbraio di cinquantasei anni fa, faceva un freddo cane e per vedere il mare si dovevano fare almeno due ore di macchina, se non trovavi coda. Lui, Fabrizio intendo, in acqua non c'è entrato, fa schifo dice, è nera, è troppo calda. Quando gli racconto della Liguria, e dei miei giorni passati lì, mi da dello scemo e non vuole credermi: "ma è mare aperto, ci sono gli squali!". Beata gioventù. Mi fa sorridere pensare che un tempo, a duecento chilometri dalle nostre coste, sotto duecento metri d'acqua, iniziai a scattare le prime foto. Di cose ne sono cambiate e tra una cosa e l'altra domenica non ho avuto tempo di scattare. Come cinquantasei anni fa. Forse non sono cambiate così tanto.


Fabrizio è davvero tanto impegnativo e i suoi non mancano occasione per sbolognarmelo ogni domenica. Proprio oggi che sarei dovuto andare ad un raduno d'auto d'epoca. Con il mio ultimo acquisto. Uno sfizio della vecchiaia.


L'ho comprata al prezzo delle patate da un mio amico che non sapeva che farsene: "Ste robe crucche non le sopporto, i miei clienti vogliono solo macchine asiatiche". Se penso a come era ridotta quando l'ho vista la prima volta... Adesso è perfetta, impeccabile. Fabrizio non aveva mai visto una macchina con le ruote: "nonno quell'auto è un cassone! fa un baccano incredibile". Glielo racconterei volentieri il perché dell'acquisto, ma ho paura che facendolo non me lo leverei mai più dai piedi. Forse, a furia di raccontargli della guerra, un giorno si annoierà e mi lascerà in pace. Almeno la domenica.

Vorrei tanto dilungarmi, ma domani devo andare a lavoro prestissimo. A presto amici!

Enrico.


2 febbraio 2012

Quello che i giornali (non) dicono

Lavoriamo un attimo di fantasia estremizzando la cosa.

Sono Enrico Cicconi e a novembre, grazie a meriti accademici e istituzionali maturati nel campo delle telecomunicazioni, mi hanno nominato presidente dell'AgCOM. Bene. Ieri sera sono stato invitato ad un programma televisivo, Obelix, nel quale ho tenuto un intervento al riguardo di una possibile regolamentazione del web e dell'attuale offerta tecnologica in Italia. Ad un certo punto ho affermato: "Internet è da prendere con le pinze in quanto l'accesso a questa piattaforma è disomogeneo sul territorio e la maggior parte dei cittadini italiani è ancora tecnologicamente analfabeta. E' necessario istruire le nuove generazioni ad un uso consapevole di questo medium e potenziare le infrastrutture su tutto il suolo nazionale con il fine di renderlo uno strumento veramente democratico". Benissimo. Il giorno seguente ho appreso dalla principale testata italiana il profondo dissenso provocato dalla mia affermazione: "Internet è da prendere con pinze". No, aspetta un attimo, ma io ho detto anche altro. Apro l'articolo con la speranza di leggere il mio intervento per intero. Niente. Tutto ridotto alle prime sei parole.

Penso abbiate capito dove voglio andare a parare. Stamane la maggior parte dei giornali hanno riportato un'affermazione rilasciata da Monti a Matrix, programma culturalmente impegnato delle reti di Berlusconi: "che monotonia un posto fisso". Lì per lì le scatole mi sono girate. E non poco. Sono andato a vedermi l'intervento su youtube per avere la certezza dell'accaduto ed effettivamente, nell'estratto video, il premier pronunciava quelle cinque sciagurate parole. Però mancava tutta l'argomentazione. Affidatomi al Fatto, e ad un articolo di Caterina Soffici, sono riuscito a ricavare l'intero intervento.

”I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita. E’ più bello cambiare e accettare nuove sfide purché siano in condizioni accettabili. E questo vuol dire che bisogna tutelare un po’ meno chi oggi è ipertutelato e tutelare un po’ di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci”

Personalmente sono concorde con questa affermazione. A lavoro e all'università vedo tutti i santi giorni dei geronti, ancorati ai loro posti, che negano a chiunque anche la semplice possibilità di emergere. Dall'altro lato, una marea di stagisti non pagati, o sotto pagati se fortunati, sulle cui spalle vengono prodotti dei margini immensi. 

Eh ma le banche, i prestiti? Quelli vogliono le garanzie! Questo vuole licenziare tutti!

Mettiamo il caso che vengano abbassati i requisiti di accesso al credito e non venga toccato l'articolo 18. Con che soldi si andrebbe ad estinguere il debito verso la banca? Con un contratto da stagista che ha meno valore della carta igienica di un autogrill? L'unica cosa che cambierebbe sarebbe la percentuale e l'età media dei protestati. E poi nessuno ha parlato di licenziamento.

Sì ok, ma se si tocca l'articolo 18 poi il tuo capo ti può licenziare quando gli gira.

E' vero, ma è anche vero che un datore di lavoro è solo il primo degli organi che stanno tra un avviso di licenziamento e l'effettivo adempimento della pratica. In mezzo ci sono giudici, tribunali, avvocati, colleghi, appelli ecc. Se un lavoratore ha un rendimento attivo all'interno della sua azienda difficilmente verrà lasciato con il sedere a casa.

Questo non lo abbiamo neanche eletto.

Questa è la migliore che ho letto. Non voglio neanche commentarla per non offendere la vostra intelligenza.

Ad ogni modo si è sollevato un gran polverone nei social e nei commenti a video e notizie. Tutti giovani precari indignati. A cui dovrei appartenere. E allora perché in questo caso non ho alcuno spirito di appartenenza? Vorrei sapere la vostra in merito.

Ciao. 
Enrico.

Apple, la mela amara.

Panorama (Link) - Apple, dietro al touch screen non è oro tutto quel che luccica

  (Credits: Apple)

(Credits: Apple)

Alzi la mano chi – specie di questi tempi – non vorrebbe lavorare per Apple. Per l’azienda più ricca, o quasi, del pianeta, per l’unica azienda dell’hitech che non produce solo dispositivi elettronici ma autentici sogni, amati e venerati dai consumatori come si fa solo con gli esseri viventi o quelli soprannaturali. Eppure, se andate a parlare con chi per Apple già ci lavora potreste sentirvi dire che non è tutto oro quello che luccica. E che dietro ad ogni iPhoneiPadiPod, c’è qualcosa che non potreste mai immaginare. 
Ci sono bambini di 13 anni che lavorano 16 ore al giorno per 70 centesimi all’ora, ad esempio; lavoratori stipati in quartieri dormitorio senza le necessarie condizioni igienico sanitarie; altri che respirano solventi tossici o polveri sottili; altri, infine, che scelgono il suicidio.
Sono gli operai che lavorano nelle fabbriche cinesi che Apple ha scelto per costruire in outsourcing i propri dispositivi. La Wintek di Suzhou, per esempio, o la Foxconn di Shentzen e Chengdu, due delle città simbolo del miracolo cinese, trasformatesi nel giro di pochi anni da villaggi rurali a vere e proprie megalopoli industriali.
Il New York Times ha dedicato loro un reportage molto dettagliato (anzi, due), raccontando tutta una serie di inquietanti retroscena sulle loro condizioni di lavoro. Il  quotidiano americano parla fra le altre cose di turni di lavoro massacranti, minacce ai lavoratori e punizioni esemplari, di documenti falsificati per consentire il lavoro minorile.
Ma non solo. Parla degli incidenti che si sarebbero potuti evitare. Come quello che ha coinvolto le centinaia di operai rimasti intossicati dall’n-esano, un composto notoriamente tossico utilizzato per pulire i display dell’iPhone solo perché decisamente più rapido dell’alcool ad evaporare.
O come le due esplosioni che, lo scorso anno, hanno provocato la morte di 4 operai e il ferimento di altri 77. Tutte vittime delle polveri d’alluminio, uno dei residui delle lavorazioni del dorso dell’Ipad. Nello stabilimento Foxconn di Chengdu, teatro di uno dei due tragici incidenti, le condizioni di scarsa areazione degli impianti erano state documentate già alcune settimane prima da un gruppo di advocacy di Hong Kong, con tanto di video che mostrava i corpi dei lavoratori ricoperti da particelle finissime di metallo. “Una copia di quel report è stata mandata anche ad Apple”, spiega uno degli esponenti del gruppo, “ma non c’è stata alcuna risposta”.

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Una storia nota

Non è la prima volta, va detto, che si parla del lato oscuro di Apple. Lo scorso anno dopo i 18 tentativi di suicidio registrati negli stabilimenti della Foxconn (14 dei quali andati a “buon” fine) molti organi di stampa sollevarono il problema della sicurezza fra i fornitori di Cupertino.
La scrittrice Alberta Parish arrivò persino a criticare apertamente l’operato di Steve Jobs all’indomani della sua morte, in un post dal titolo piuttosto eloquente: “Steve Jobs di Apple non era un uomo buono, utilizzava il lavoro schiavistico per fare gli iPads e gli iPhone”.
Steve Jobs ha avuto un’anima oscura. Come proprietario di Apple, è stato direttamente responsabile per la produzione di iPhone e iPad nelle fabbriche in Cina dove c’è stato un numero infinito di suicidi di lavoratori insoddisfatti durante i mesi di marzo e aprile di quest’anno. In parecchi impianti della Foxconn, dove sono realizzati i prodotti Apple, c’erano policy orrende: operai costretti a fare tra 80 e 100 ore di lavoro straordinario, operai costretti a stare in piedi per 14 ore al giorno, altri costretti a firmare patti di non-suicidio come condizione di occupazione.

La difesa di Tim Cook

Tim Cook, l’erede di Steve Jobs al timone di Apple, è voluto intervenire di persona sulla questione con una lettera aperta a tutti i dipendenti Apple:
Sono i nostri valori a dire chi siamo, come azienda e come individui. È un peccato che in questi giorni alcune persone stiano mettendo in dubbio i valori di Apple e desidererei occuparmene direttamente con voi. Abbiamo a cuore ogni lavoratore della nostra catena dei fornitori a livello mondiale. Ogni incidente è fonte di turbamento e ogni questione riguardante le condizioni di lavoro è causa di preoccupazione. Qualsiasi voce che affermi il contrario è chiaramente falsa e offensiva nei nostri confronti. Come saprete meglio di chiunque altro, accuse come queste vanno contro i nostri valori. Noi non siamo così.
Molti di voi che lavorano presso i siti produttivi dei nostri fornitori in tutto il mondo, o che spendono lunghi periodi lontani dalle loro famiglie, so che sono indignati quanto me. E coloro che non sono così vicini alla catena di fornitura hanno il diritto a conoscere i fatti.
Ogni anno aumentiamo il numero di ispezioni nelle fabbriche, alzando gli standard per i nostri produttori e indaghiamo sempre più a fondo su quello che accade dentro le fabbriche. Come abbiamo già riferito lo scorso mese, abbiamo ottenuto grandi successi e migliorato le condizioni di centinaia di migliaia di lavoratori. Nessuno, in questo settore, sta facendo così tanto per così tante persone in così tanti posti.

Tim Cook, numero uno di Apple (Credits: AP Photo/Mark Lennihan)
Tim Cook, numero uno di Apple (Credits: AP Photo/Mark Lennihan)

Quel che Apple non dice

Tim Cook in parte dice il vero. A ben guardare, dal 2005, e cioè dall’epoca del primo reportage giornalistico sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti cinesi della Foxconn (in quel caso firmato dal Guardian), Apple conduce ogni anno degli audit su tutte le fabbriche che gravitano intorno alla produzione dei propri dispositivi. E dal 2007 ispeziona direttamente gli stabilimenti per mettere in luce le eventuali anomalie.
Dal 2007 al 2010, sottolinea il New York Times, Apple ha condotto oltre 300 controlli all’interno degli stabilimenti, ravvisando in oltre metà dei casi la presenza di anomalie; in ben 70 casi, addirittura, le irregolarità riguardavano violazioni basilari, compresi casi di sfruttamento minorile, falsificazione di documenti, condizioni di lavoro pericolose per la salute. Gli standard di Apple prevedono, in casi come questi, che le aziende forniscano un report entro 90 giorni individuando il problema e provvedendo quindi a correggerlo.
Quel che Tim Cook non dice, però, è per quale motivo – nonostante le numerose segnalazioni - Apple abbia concluso il proprio rapporto lavorativo con soli 15 fornitori. Per quale motivo alla Foxconn abbiano installato delle reti tutto intorno alla fabbrica proprio dove si sono verificati i suicidi dei dipendenti. E perché nel 2011, anno in cui sono stati effettuati ben 229 audit, si è registrato il maggior numero di incidenti (4 morti e 77 feriti).
“Una volta che l’accordo è fatto e diventi uno dei produttori di Apple, l’azienda non si interessa più delle condizioni di vita dei suoi dipendenti o qualsiasi altra cosa che non sia rilevante per i propri prodotti” sottolinea un ex-manager di Foxconn licenziato dall’azienda dopo aver obiettato di fronte a un trasferimento. Rincara la dose un altro responsabile di una società che ha preso parte alla produzione di iPad: “L’unico modo per fare soldi lavorando per Apple è quello di mostrare loro di saper fare le cose in modo più efficiente o economico”.

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(Credits: Apple)

Del resto che Apple faccia leva sulla forza lavoro a basso, anzi bassissimo costo lo si capisce anche guardando i costi di produzione dei dispositivi che sforna in migliaia di pezzi ogni giorno. Secondo iSuppli, ogni iPhone 4S (nella sua versione base, quella da 8 gigabyte, prezzo italiano 659 euro) costa ad Apple 196 dollari dei quali solo 8 per la produzione.
Il discorso è diventato assolutamente centrale alla luce della nuova politica tariffaria che Apple ha inaugurato con l’uscita dell’iPad. Un prodotto che contrariamente alla tradizione della Mela è offerto a un prezzo decisamente concorrenziale: se si escludono i tablet low-cost basati su Android, i 499 dollari del modello base della Mela rappresentano a tutt’oggi una delle migliori alternative per il consumatore. Ma il margine per Cupertino resta comunque altissimo (come si può notare da questa seconda tabella).
E poi c’è tutto il discorso della flessibilità: per produrre ogni trimestre 37 milioni di iPhone, 15 milioni di iPad e oltre 5 milioni di iPod la catena dei fornitori deve muoversi con sincronismi pressoché perfetti. E, soprattutto, deve saper rispondere in modo rapidissimo alle variazioni della domanda. Condizioni che oggi si possono avere solo in Cina, dove spiega il New York Times è possibile assumere 3.000 persone dall’oggi al domani, e fino a 200 mila operari in un paio di settimane.

Il mondo attende una risposta

Per non cadere nella falsa retorica è bene precisare un paio di aspetti. Che la Foxconn non è Apple né una sua controllata, tanto per cominciare, ma un’azienda asiatica che produce componenti elettrici. Che Apple non è l’unica multinazionale a giovarsi di una così ampia catena di fornitori delocalizzata (da Dell ad Hp, da Lenovbo a Motorola, da Nokia a Sony, tutte le grandi multinazionali del settore producono e assemblano in Cina i propri oggetti tecnologici).
Che i diritti dei lavoratori in Cina non sono quelli dei Paesi occidentali, considerata anche l’assenza di un vero e proprio sindacato (cosa che non è ammessa dal governo locale). Che per molti cinesi lavorare per Apple garantisce condizioni salariali migliori di quelle che avrebbero altrove; ad esempio in una piantagione di riso, dove il guadagno medio è di 50 dollari al mese (contro i quasi 300 dollari offerti da Apple).
Ma considerata la fama di Apple e la straordinaria liquidità che circola nelle sue casse (quasi 100 miliardi di dollari secondo le ultime rilevazioni), è più facile che la lente dell’opinione pubblica finisca per concentrarsi sui movimenti di Cupertino. “Puoi impostare tutte le regole che vuoi”,  commenta amaramente uno degli ex-responsabili di Apple, “ma saranno prive di significato se non dai ai fornitori un profitto sufficiente per trattare bene i tuoi lavoratori”. Oneri e onori, si dice in casi come questi.
Perché se sul design e le prestazioni dei dispositivi di Apple si può discutere al bar fra technofan, sulle condizioni di lavoro la posta in palio è decisamente più alta. A questo punto diventa un imperativo: Apple dovrà intervenire più profondamente di quanto non abbia fatto in passato, proprio come hanno fatto le altre multinazionali che prima di lei (vedi Nike e Gap) sono finite nell’occhio del ciclone per problematiche di social responsability.
Prima che sia troppo tardi. Prima che l’utente medio arrivi a chiedersi cos’è disposto ad accettare pur di avere fra le mani l’ultimo “sogno” marchiato Apple.

Grazie a David per il suggerimento