Ringraziando Siz per la segnalazione, vi proponiamo questo interessante articolo di Adriano Favole riguardo agli ultimi avvenimenti che hanno scosso Torino e Firenze. (link articolo)
Combattere il razzismo, cominciando dalle Parole (di Adriano Favole)
Il rogo delle abitazioni nel quartiere Continassa di Torino e l’uccisione di Samb Modou e Diop Mor a Firenze sono due tra i più gravi atti di razzismo avvenuti in Italia dal dopoguerra a oggi. Questi atti sono chiaramente legati al clima politico e alla presenza di partiti razzisti e xenofobi (la Lega Nord in primo luogo) nell’arena politica nazionale.
Il razzismo, tuttavia, è fenomeno complesso e ci si sbaglierebbe di grosso pensando di poterlo combattere e sconfiggere avendo come bersaglio unicamente la “grande” (si fa per dire) politica. L’aspetto più minaccioso del razzismo è la sua struttura tentacolare, il fatto cioè che si trasmetta con grande efficacia attraverso mezzi solo in apparenza neutri.
Provo a spiegarmi con alcuni esempi tratti proprio dalle cronache dei due fatti citati. Come molti sanno, il giornale «La Stampa» è stato protagonista di una clamorosa gaffe quando ha titolato: Mette in fuga i due rom che violentano la sorella, dando credito alla versione della ragazza, rivelatasi poi un’invenzione. Il giorno dopo il quotidiano torinese ha chiesto scusa ai lettori, ma – a mio modo di vedere – non ha colto il problema di fondo. I giornali italiani dovrebbero adottare, al pari di molti organi di stampa stranieri, un codice etico che impedisca in ogni caso di associare un presunto reato alla nazionalità e peggio ancora all’etnia del presunto autore. Questo infatti è uno dei più subdoli e nascosti meccanismi di diffusione di stereotipi di stampo razzista.
Quando un acuto osservatore e commentatore come Massimo Gramellini scrive che «la falsa notizia dello stupro si infiltra nel quartiere e scatena gli istinti primordiali», inconsapevolmente parla del razzismo come di una pratica “naturale”, “istintuale” e dunque inevitabile. Se il razzismo, come ha detto nell’occasione l’ex sindaco Sergio Chiamparino, è un “virus” allora non rimane che reprimerlo, come si fa attraverso i farmaci per una malattia.
In realtà il razzismo non è né un istinto, né un virus, né un qualunque agente patogeno “naturalmente” presente nell’organismo sociale, ma è socialmente e politicamente costruito. E se è vero che alcuni politici e alcuni partiti utilizzano consapevolmente il razzismo per i loro fini, è altrettanto vero che questo ben difficilmente si trasmetterebbe in modo così efficace se non intervenissero, per lo più in modo inconsapevole, pratiche linguistiche come quelle citate.
Delle uccisioni di Firenze mi ha colpito terribilmente il fatto che quasi tutti i giornali nazionali, compresi quelli che in questi anni si sono segnalati per la loro attenzione contro la xenofobia, hanno pubblicato i nomi delle vittime solo due giorni dopo la strage. Quando si parla di “altri”, la comunità soverchia la persona. Un po’ come se l’assassino razzista avesse sparato contro delle etnie e non contro degli esseri umani.
Quello che ci manca, in primo luogo, per combattere efficacemente il razzismo, è un linguaggio corretto della comunicazione interculturale. Troppo spesso, quando parliamo di rapporti interculturali, usiamo termini a sfondo razzista (biologicamente inteso), evoluzionista e culturalista, intendendo cioè le culture come “cose” dotate di confini netti, rigidi e definiti. Quello che ci manca soprattutto è un linguaggio della creatività culturale, che ci metta in grado di capire come l’incontro e la convivenza tra persone di origine diversa dia origine a fenomeni sociali nuovi, inediti, irriducibili sia alla contrapposizione dicotomica “noi” contro “altri” e sia al banale ibridismo o meticciato.
In conclusione: il razzismo di questi anni è senz’altro un fiume in piena alimentato ad arte da alcuni ben noti personaggi politici, garantito da leggi di Stato come lo ius sanguinis e rafforzato da una certa retorica della “crisi” che spinge alla contrapposizione tra “poveri”. Tuttavia, anche se è un po’ controintuitivo affermarlo, quel fiume si può arginare solo partendo dalle sue terminazioni ultime, nelle quali spicca, per importanza, il linguaggio.
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