
Alzi la mano chi – specie di questi tempi – non vorrebbe lavorare per Apple. Per l’azienda più ricca, o quasi, del pianeta, per l’unica azienda dell’hitech che non produce solo dispositivi elettronici ma autentici sogni, amati e venerati dai consumatori come si fa solo con gli esseri viventi o quelli soprannaturali. Eppure, se andate a parlare con chi per Apple già ci lavora potreste sentirvi dire che non è tutto oro quello che luccica. E che dietro ad ogni iPhone, iPad, iPod, c’è qualcosa che non potreste mai immaginare.
Ci sono bambini di 13 anni che lavorano 16 ore al giorno per 70 centesimi all’ora, ad esempio; lavoratori stipati in quartieri dormitorio senza le necessarie condizioni igienico sanitarie; altri che respirano solventi tossici o polveri sottili; altri, infine, che scelgono il suicidio.
Sono gli operai che lavorano nelle fabbriche cinesi che Apple ha scelto per costruire in outsourcing i propri dispositivi. La Wintek di Suzhou, per esempio, o la Foxconn di Shentzen e Chengdu, due delle città simbolo del miracolo cinese, trasformatesi nel giro di pochi anni da villaggi rurali a vere e proprie megalopoli industriali.
Il New York Times ha dedicato loro un reportage molto dettagliato (anzi, due), raccontando tutta una serie di inquietanti retroscena sulle loro condizioni di lavoro. Il quotidiano americano parla fra le altre cose di turni di lavoro massacranti, minacce ai lavoratori e punizioni esemplari, di documenti falsificati per consentire il lavoro minorile.
Ma non solo. Parla degli incidenti che si sarebbero potuti evitare. Come quello che ha coinvolto le centinaia di operai rimasti intossicati dall’n-esano, un composto notoriamente tossico utilizzato per pulire i display dell’iPhone solo perché decisamente più rapido dell’alcool ad evaporare.
O come le due esplosioni che, lo scorso anno, hanno provocato la morte di 4 operai e il ferimento di altri 77. Tutte vittime delle polveri d’alluminio, uno dei residui delle lavorazioni del dorso dell’Ipad. Nello stabilimento Foxconn di Chengdu, teatro di uno dei due tragici incidenti, le condizioni di scarsa areazione degli impianti erano state documentate già alcune settimane prima da un gruppo di advocacy di Hong Kong, con tanto di video che mostrava i corpi dei lavoratori ricoperti da particelle finissime di metallo. “Una copia di quel report è stata mandata anche ad Apple”, spiega uno degli esponenti del gruppo, “ma non c’è stata alcuna risposta”.

Una storia nota
Non è la prima volta, va detto, che si parla del lato oscuro di Apple. Lo scorso anno dopo i 18 tentativi di suicidio registrati negli stabilimenti della Foxconn (14 dei quali andati a “buon” fine) molti organi di stampa sollevarono il problema della sicurezza fra i fornitori di Cupertino.La scrittrice Alberta Parish arrivò persino a criticare apertamente l’operato di Steve Jobs all’indomani della sua morte, in un post dal titolo piuttosto eloquente: “Steve Jobs di Apple non era un uomo buono, utilizzava il lavoro schiavistico per fare gli iPads e gli iPhone”.
Steve Jobs ha avuto un’anima oscura. Come proprietario di Apple, è stato direttamente responsabile per la produzione di iPhone e iPad nelle fabbriche in Cina dove c’è stato un numero infinito di suicidi di lavoratori insoddisfatti durante i mesi di marzo e aprile di quest’anno. In parecchi impianti della Foxconn, dove sono realizzati i prodotti Apple, c’erano policy orrende: operai costretti a fare tra 80 e 100 ore di lavoro straordinario, operai costretti a stare in piedi per 14 ore al giorno, altri costretti a firmare patti di non-suicidio come condizione di occupazione.
La difesa di Tim Cook
Tim Cook, l’erede di Steve Jobs al timone di Apple, è voluto intervenire di persona sulla questione con una lettera aperta a tutti i dipendenti Apple:Sono i nostri valori a dire chi siamo, come azienda e come individui. È un peccato che in questi giorni alcune persone stiano mettendo in dubbio i valori di Apple e desidererei occuparmene direttamente con voi. Abbiamo a cuore ogni lavoratore della nostra catena dei fornitori a livello mondiale. Ogni incidente è fonte di turbamento e ogni questione riguardante le condizioni di lavoro è causa di preoccupazione. Qualsiasi voce che affermi il contrario è chiaramente falsa e offensiva nei nostri confronti. Come saprete meglio di chiunque altro, accuse come queste vanno contro i nostri valori. Noi non siamo così.
Molti di voi che lavorano presso i siti produttivi dei nostri fornitori in tutto il mondo, o che spendono lunghi periodi lontani dalle loro famiglie, so che sono indignati quanto me. E coloro che non sono così vicini alla catena di fornitura hanno il diritto a conoscere i fatti.
Ogni anno aumentiamo il numero di ispezioni nelle fabbriche, alzando gli standard per i nostri produttori e indaghiamo sempre più a fondo su quello che accade dentro le fabbriche. Come abbiamo già riferito lo scorso mese, abbiamo ottenuto grandi successi e migliorato le condizioni di centinaia di migliaia di lavoratori. Nessuno, in questo settore, sta facendo così tanto per così tante persone in così tanti posti.
Quel che Apple non dice
Tim Cook in parte dice il vero. A ben guardare, dal 2005, e cioè dall’epoca del primo reportage giornalistico sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti cinesi della Foxconn (in quel caso firmato dal Guardian), Apple conduce ogni anno degli audit su tutte le fabbriche che gravitano intorno alla produzione dei propri dispositivi. E dal 2007 ispeziona direttamente gli stabilimenti per mettere in luce le eventuali anomalie.Dal 2007 al 2010, sottolinea il New York Times, Apple ha condotto oltre 300 controlli all’interno degli stabilimenti, ravvisando in oltre metà dei casi la presenza di anomalie; in ben 70 casi, addirittura, le irregolarità riguardavano violazioni basilari, compresi casi di sfruttamento minorile, falsificazione di documenti, condizioni di lavoro pericolose per la salute. Gli standard di Apple prevedono, in casi come questi, che le aziende forniscano un report entro 90 giorni individuando il problema e provvedendo quindi a correggerlo.
Quel che Tim Cook non dice, però, è per quale motivo – nonostante le numerose segnalazioni - Apple abbia concluso il proprio rapporto lavorativo con soli 15 fornitori. Per quale motivo alla Foxconn abbiano installato delle reti tutto intorno alla fabbrica proprio dove si sono verificati i suicidi dei dipendenti. E perché nel 2011, anno in cui sono stati effettuati ben 229 audit, si è registrato il maggior numero di incidenti (4 morti e 77 feriti).
“Una volta che l’accordo è fatto e diventi uno dei produttori di Apple, l’azienda non si interessa più delle condizioni di vita dei suoi dipendenti o qualsiasi altra cosa che non sia rilevante per i propri prodotti” sottolinea un ex-manager di Foxconn licenziato dall’azienda dopo aver obiettato di fronte a un trasferimento. Rincara la dose un altro responsabile di una società che ha preso parte alla produzione di iPad: “L’unico modo per fare soldi lavorando per Apple è quello di mostrare loro di saper fare le cose in modo più efficiente o economico”.
Del resto che Apple faccia leva sulla forza lavoro a basso, anzi bassissimo costo lo si capisce anche guardando i costi di produzione dei dispositivi che sforna in migliaia di pezzi ogni giorno. Secondo iSuppli, ogni iPhone 4S (nella sua versione base, quella da 8 gigabyte, prezzo italiano 659 euro) costa ad Apple 196 dollari dei quali solo 8 per la produzione.
Il discorso è diventato assolutamente centrale alla luce della nuova politica tariffaria che Apple ha inaugurato con l’uscita dell’iPad. Un prodotto che contrariamente alla tradizione della Mela è offerto a un prezzo decisamente concorrenziale: se si escludono i tablet low-cost basati su Android, i 499 dollari del modello base della Mela rappresentano a tutt’oggi una delle migliori alternative per il consumatore. Ma il margine per Cupertino resta comunque altissimo (come si può notare da questa seconda tabella).
E poi c’è tutto il discorso della flessibilità: per produrre ogni trimestre 37 milioni di iPhone, 15 milioni di iPad e oltre 5 milioni di iPod la catena dei fornitori deve muoversi con sincronismi pressoché perfetti. E, soprattutto, deve saper rispondere in modo rapidissimo alle variazioni della domanda. Condizioni che oggi si possono avere solo in Cina, dove spiega il New York Times è possibile assumere 3.000 persone dall’oggi al domani, e fino a 200 mila operari in un paio di settimane.
Il mondo attende una risposta
Per non cadere nella falsa retorica è bene precisare un paio di aspetti. Che la Foxconn non è Apple né una sua controllata, tanto per cominciare, ma un’azienda asiatica che produce componenti elettrici. Che Apple non è l’unica multinazionale a giovarsi di una così ampia catena di fornitori delocalizzata (da Dell ad Hp, da Lenovbo a Motorola, da Nokia a Sony, tutte le grandi multinazionali del settore producono e assemblano in Cina i propri oggetti tecnologici).
Che i diritti dei lavoratori in Cina non sono quelli dei Paesi occidentali, considerata anche l’assenza di un vero e proprio sindacato (cosa che non è ammessa dal governo locale). Che per molti cinesi lavorare per Apple garantisce condizioni salariali migliori di quelle che avrebbero altrove; ad esempio in una piantagione di riso, dove il guadagno medio è di 50 dollari al mese (contro i quasi 300 dollari offerti da Apple).
Ma considerata la fama di Apple e la straordinaria liquidità che circola nelle sue casse (quasi 100 miliardi di dollari secondo le ultime rilevazioni), è più facile che la lente dell’opinione pubblica finisca per concentrarsi sui movimenti di Cupertino. “Puoi impostare tutte le regole che vuoi”, commenta amaramente uno degli ex-responsabili di Apple, “ma saranno prive di significato se non dai ai fornitori un profitto sufficiente per trattare bene i tuoi lavoratori”. Oneri e onori, si dice in casi come questi.
Perché se sul design e le prestazioni dei dispositivi di Apple si può discutere al bar fra technofan, sulle condizioni di lavoro la posta in palio è decisamente più alta. A questo punto diventa un imperativo: Apple dovrà intervenire più profondamente di quanto non abbia fatto in passato, proprio come hanno fatto le altre multinazionali che prima di lei (vedi Nike e Gap) sono finite nell’occhio del ciclone per problematiche di social responsability.
Prima che sia troppo tardi. Prima che l’utente medio arrivi a chiedersi cos’è disposto ad accettare pur di avere fra le mani l’ultimo “sogno” marchiato Apple.
Grazie a David per il suggerimento
Premetto che oggi sono abbastanza critico e risulterò antipatico. Non amo Apple e non amo riviste come Panorama. Se l'articolo fosse stato "masticato" un po' di più prima di essere pubblicato sul blog forse l'avrei apprezzato, ma magari ci penseranno i commenti =). E poi chi è Roberto Catania?! Ad ogni modo il contenuto trasuda populismo da ogni parola, mi ricorda molto certi articoli tecnologici/scientifici di Mello sul Fatto. Il quadro è presentato in maniera poco chiara, è il classico articolo sociale scritto buttando lì qualche dato commovente e un paio di cifre da capogiro. In tutta la faccenda mancano produttori con nomi molto più conosciuti di FoxConn, tipo Samsung (principale concorrente di Apple ma anche sua principale fornitrice di display lcd. Mmmm, puzza di cartello). Non si possono fare certe affermazioni prendendo di mira solo la punta dell'iceberg. Concludo dicendo che la condizione dei lavoratori di aziende come la FoxConn potrebbe essere nettamente migliore se il mercato fosse in reale concorrenza. Nessuna azienda del settore ha mai scagliato una pietra verso una concorrente affermando "tu sfrutti i tuoi fornitori adesso ti faccio causa". Piuttosto si scannano sui brevetti.
RispondiEliminaJe suis parfaitement d'accord avec toi, mon cher amis.
RispondiEliminaHo peccato di avervi proposto una notizia probabilmente nn limpida dalla fonte; ma credo abbia il merito perlomeno di porre il prbl e di sensibilizzare sull'argomento, triste ahimè, delle condizioni di lavoro di questi operai (suicidi, intossicazioni, ecc).
Comunque per quanto riguarda il dito puntato solo (come tu dici) contro Apple, mi permetto di notare che chi scrive ha affermato che il prbl riguarda anche altre aziende come hp motorola nokia sony.
Ma per il resto, agree with you!