30 gennaio 2012

Domenicanon Filler

Niente foto con la neve. 
Niente Domenicanon #03.
Quindi, se volevi vedere qualche scatto o leggere qualche cagata su:
  • Bambini che, nel cortile di un condominio (che tristezza), fanno gli angeli nella neve.
  • Adolescenti che si tumefanno le facce acnose a suon di palle di neve.
  • Adulti che (figata) fanno i freni a mano nel parcheggio del Ruffini ricolmo di neve.
  • Anziani che si scatafasciano le anche sul marciapiede e l'ambulanza rimane bloccata nella neve.
Puoi chiudere il blog.
Mi sono lavato la coscienza. 
Rapido come una ceretta zucchero e limone. 
Adesso posso parlare a vanvera.

Avvertenza
Questo è un post non-sense. Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale. 
Che poi è un modo carino per dire che sto per sp#!!$&$%£ un bel po' di gente, compreso me stesso.
Imbarazzo.

Questo è un filler di Domenicanon...
"Aspetta...aspetta...cos'è un filler?
Ti risparmio la googlata.

Filler: è un termine inglese che significa "riempitivo" e che, nel mondo dei media indica una parte di un'opera che non è coerente con il resto della stessa.

Nella vita trascorriamo un sacco di momenti "filler". Quando siamo in coda alle poste, quando aspettiamo il nostro turno dal medico o il pullman sulla pensilina, quando riposiamo. Sono attimi in cui la nostra vita non procede. E' in stasi. Anche lavorando a volte si ha la stessa sensazione. Entri in ufficio, succede qualcosa, esci. Ricominci a vivere. Almeno per le poche ore che ti rimangono prima di riaddormentarti e ripresentarti a lavoro il giorno dopo.


15 Ottobre 2011. Ore 6 e 31. Periferia nord di Beijing. Chaoxiang è il primo ad arrivare nel laboratorio. Lega la bicicletta ed entra nei locali, ancora bui e deserti.

Molte delle persone che conosco, e che lavorano, sembrano condividere tutte lo stesso pensiero a riguardo dei loro colleghi: "Quello è uno stronzo", "Quella non la sopporto", "Non capisco come hanno fatto ad assumerlo", "Quella è una raccomandata", eccetera, eccetera. Anche a me è capitato di esprimere qualche giudizio poco carino a volte. O di pensar male. Ce n'è una ad esempio che, spesso e volentieri, ride da sola davanti al computer. Tutti i santi giorni. Mmm. Prima o poi glielo farò notare che mi infastidisce.


23 Novembre 2011. Ore 15 e 45. Elvira e le sue tre amiche entrano in un negozio di parrucche a Parigi. Ne comprano quattro. 

Venerdì sera sono andato a teatro. E' la terza volta che assisto ad uno spettacolo di questa compagnia. In scena una commedia sui contratti co.co.co. e i call center. Esilarante. In generale ho sempre ritenuto queste serate con i colleghi dei momenti "filler". Che poi non lo intendo come un termine dispregiativo sia chiaro. E' semplicemente una parentesi, un momento in cui metti da parte i mille casini, i diecimila pensieri, e ti godi qualche ora fuori dalle righe. Può capitare che qualcuno, magari poco aggiornato, ci provi comunque a farti rientrare nello spartito: "Ma come mai non c'è...". Colpi di tosse, occhiate furtive, commenti sarcastici. Giù a ridere e a parlare d'altro. Adoro i miei colleghi. 

28 Gennaio 2012. Ore 17 e 30. Torino. Enrico arriva a casa di Matteo per una serata di lavoro intenso. 

E' il momento di risolvere il problema della ragazza che ride.

Io: "io mi sento cretino a ridere davanti ad uno schermo"
Ragazza che ride: "ma che significa, 
non stai ridendo da solo, 

io non rido da sola, 
ci sono cose che leggo che mi fanno ridere, 
e non posso fare altrimenti"

Certe risposte, quelle che non ti aspetti, ti investono come un tir in pieno petto.

15 Ottobre 2011. Ore 13 e 31. Periferia nord di Beijing. Chaoxiang ripone la parrucca nello scatolone. Lo richiude. Qualcuno lo caricherà su un cargo diretto in Europa. Lo scatolone.

Finito lo spettacolo. Si va al Caffè del Progresso. Una media, un'altra, una piccola. Si ride. Un collega sta per creare un caso diplomatico tra la Sardegna e il Piemonte. Usciamo. L'una e mezza. Tutti vanno via. O quasi. "Facciamo un salto veloce ai murazzi". Le 6 del mattino.

28 Gennaio 2012. Ore 22. Torino. Enrico e Matteo decidono che hanno lavorato troppo e che è giunto il momento di andare al cinema. Fanno un paio di foto con una parrucca. Salutano Elvira ed escono.

Questo è quello che succede se si passa un intero weekend a casa. A studiare. A lavorare. Ad annoiarsi. Fantastichi su tutte le occasioni che stai mancando. Nei tempi morti ti metti a scrivere un raccontino che abbia del credibile. Lo pubblichi sul blog e speri che qualcuno arrivi fino in fondo con la convinzione che tu abbia vissuto davvero tutto questo. Che poi magari a chi legge non gliene frega una benemerita di cosa hai fatto. Però vuoi mettere la soddisfazione di aver inventato qualcosa di credibile?

Mi spiace di non essere andato a far foto per il blog, ma ero davvero tanto impegnato. Forse, se le avessi fatte, vi avrei risparmiato tutto questo. 

Domenicanon tornerà, nella sua solita veste, dopo il 5. Per farmi perdonare vi lascio con una massima, a voi le ricerche sull'autore.

"La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti."

Buona settimana a tutti.
Enrico. Con la parrucca.


26 gennaio 2012

Domenicanon #02

Non è così che doveva andare questo blog, sappiatelo.

Detto questo...

Venerdì mi hanno tolto il primo dei quattro denti del giudizio. 
Dimenticate tutte le cavolate che vi hanno raccontato sul fatto che non faccia male. Cosa che per altro continuo a raccontare anch'io a chiunque mi chieda informazioni in merito. Sì, sono un sadico.
La cosa peggiore sono i venti minuti precedenti l'operazione. Ti sdrai, e attendi che arrivi il dentista per la prima anestesia. Nel frattempo hai modo di ammirare gli attrezzi del mestiere: tenaglie, pinze, trapani, punteruoli, aghi. Il cuore comincia a pompare e vorresti solo andartene.
Nel momento in cui hai trovato il coraggio per chiedere di posticipare il tutto, lui arriva, e cala il buio. Sì perché ci va una certa prestanza per estrarre un dente, e il mio carnefice era un omone enorme, ma enorme davvero, tipo obelix. Due obelix. Fusi assieme.

Via con la prima anestesia, seguita da altri dieci minuti di solitudine. Ormai sei in ballo. L'unico rumore che riesce a produrre la tua bocca è il prodotto della fusione tra la saliva e il panico. 

Continui ad osservare gli attrezzi sperando che qualcuno li abbia dimenticati lì per caso, cerchi di convincerti che verranno utilizzati solo nel caso succeda qualcosa di veramente spiacevole. Sbagliato. Verranno utilizzati tutti. Uno dopo l'altro. Anche in coppia. Contemporaneamente. Inesorabilmente.

Di nuovo il buio. Strizzi gli occhi. Hai ancora male. Giù un'altra dose di anestetico. Senti il trapano che attraversa il dente. Un gemito. "Hai male?". "N, nn shento n czz!". "Ah! Tu soffri preventivamente quindi!". Che ti pigli la sciol... Il rumore di un osso rotto. Il filo che attraversa la carne. Quattro volte. Buon appetito.

Sabato e domenica li ho trascorsi in uno stato di intontimento assoluto. Ricolmo di antidolorifici, antibiotici, antiqui e antilà. La mancanza di sonno, ben diversa da quella gastronomica della settimana precedente, mi ha permesso di svegliarmi di buon ora e di andare a fare il mio dovere.

Francesca, collegnese doc, e Filippo, collegnese anch'esso e autore di alcune delle foto che trovate nel post, mi hanno accompagnato nel giro fotografico all'interno del parco della Certosa. Se siete appassionati di fotografia e, come me, avete gusto per l'orrido, il parco è il luogo ideale per fare della sana archeologia industriale. La Certosa Reale, è un ex monastero, diventato poi un manicomio, adesso centro dell'ASL di Collegno. 





Oltre a scuole, un hammam, uffici del comune e case occupate, come il Mezcal Squot, ci sono un sacco di edifici abbandonati dall'accesso abbastanza facile. L'atmosfera percepita in un edificio abbandonato è unica. La mente comincia a colmare tutte le mancanze di quel luogo: il rumore delle macchine, il vociare degli operai, l'odore di ferro e sudore.











Continuando la passeggiata ci siamo chiesti perché il comune non si attivi per rivalutare molti degli edifici che non hanno ancora uno scopo. Un'idea condivisa è stata quella di un polo universitario in stile Cambridge. Sarebbe bello no?




Non lontano dal parco, dall'altro lato di corso Francia, c'è il Villaggio Leumann, quartiere costruito nell'800 per ospitare le famiglie degli operai dell'omonimo cotonificio. Mi ha ricordato molto le periferie operaie inglesi di film come Trainspotting o Full Monty. Mentre stavo scattando qualche foto alla chiesa di Santa Elisabetta una signora si è avvicinata a me:
"Sei qui per la visita?", "No, non credo","Ah, vuoi farla comunque?","Quanto dura?","Dure ore","Non ho così tanto tempo! La fate ogni domenica?", "No, puoi prenotarla sul sito dell'associazione","Bene, arrivederci".
Adesso lo sapete.



L'attrazione principale di Rivoli è sicuramente il Castello, alle cui spalle si staglia un parco naturale, che di naturale ha solo degli alberi, l'erba e le coppiette che lo popolano di notte. Protetto dall'Unesco, ospita tutto l'anno una permanente e un rapido susseguirsi di temporanee. In questi giorni dovrebbe esserci una mostra sull'arte povera.




Anche se san Rocco cade il 16 agosto l'autorità ecclesiastica ha autorizzato i grugliaschesi a spostare la festa patronale al 31 gennaio. Non ho idea di come si festeggi, ma se siete curiosi fateci un salto martedì prossimo e raccontatemi qualcosa nei commenti del post. Ad ogni modo Grugliasco di santo ha ben poco. Percorrendo la passerella, che scavalca la recente stazione ferroviaria, ho incontrato un fotografo intento nell'immortalare una signorina poco vestita, praticamente nuda. Penso avesse anche le tette al vento prima che io li interrompessi. O almeno mi piace pensare così. Imbarazzo. 




Quattro regole/consigli/suggerimenti per fotografare all'interno di edifici abbandonati
  1. Accertatevi che il luogo sia davvero abbandonato. Vi ricordo che la violazione di proprietà privata è un reato. Mmm. Se ci sono dei senza tetto, e sembrano infastiditi dalla vostra presenza, lasciate perdere.
  2. Cercate di essere almeno in due o in tre. Non di più e non di meno. Fate un sopralluogo. Camminate con cautela e lungo le pareti. Dite a qualcuno dove siete.
  3. Portarsi un cavalletto fa tanto cool, ma in certi casi è meglio evitare. Se soffrite di delirium tremens come il sottoscritto usate i sostegni che il luogo vi offre: scale, muretti, mensole. Se non ne potete fare a meno fatevelo portare ad un amico che non fotografa. Tipo caddy!
  4. Se qualcuno vi chiede perché siete lì dite sempre la verità. Reportage, per un servizio, per un sopralluogo. E se a chiedervelo sono le forze dell'ordine, rispondente cordialmente e levatevi dalle scatole.
Concludo velocemente parlando di Megaupload, Pipa, e Piso (anche per rispondere al post messo da Enrico "Muscio" Lomuscio). Tutti questi decreti rappresentano sicuramente delle azioni disciplinari molto rigide, che vanno ad aggiungersi ad un sistema legislativo che vi assicuro è già molto severo. Sono certo però che il web saprà rispondere in maniera adeguata come già ha fatto in passato. E' stato il turno di Napster, adesso di Megaupload. E poi pensandoci bene non mi dispiacerebbe neanche tanto pagare 10 euro al mese per guardarmi le mie serie preferite. 

By the way...

...il cinema Luce, ultimo cinema storico di Collegno, ha chiuso i battenti, roba davvero triste. Anche se penso di aver colto il nocciolo del problema riguardo alla chiusura di luoghi come questo, mi piacerebbe sapere la vostra opinione in merito: colpa della pirateria o della continua nascita di multisala?


Anche questa sparata è finita. Non si è svolta come avrei voluto. Se commentate inserite la parola Triceratopo così saprò chi castigare nel caso non abbiate raggiunto il fondo!

Buona (metà) settimana.

Enrico.

24 gennaio 2012

La Liberalizzazione della Follia

Penso che si stiano approvando nuove liberalizzazioni in Italia.
Basta anche solo una motivazione per pentirsi di aver votato un partito? .. forse.

La Liberalizzazione delle nascite
dal blog di Beppe Grillo (link)

La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall'altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della "liberalizzazione" delle nascite.

17 gennaio 2012

I suoni del mare


L'Università di Victoria (Vancouver) rende disponibili le registrazioni captate dagli scienziati durante il monitoraggio del mare per studiarne i cambiamenti climatici.


http://video.repubblica.it/tecno-e-scienze/i-suoni-del-mare-lo-speciale-di-bbc/85949?video=&ref=HRESS-1

Per qualcuno magari sarà patetico, però trovo emozionante rimanere ad ascoltare il verso di un'orca che si propaga a km e km di distanza, attraverso l'oceano. O quello di una megattera.

Senza voler fare del moralismo, in un mondo in cui l'animale è un fenomeno da baraccone sempre e comunque; e in cui non importa se la bestia patisce, l'importante è che l'essere umano si goda lo spettacolo - possibilmente lucrandoci sopra - è bello stare semplicemente ad ascoltare, in silenzio e senza turbare nessuno. Come se stessimo guardando dal buco della serratura, ma solo per un attimo.


Preoccupante, invece, constatare quanto rumore faccia sott'acqua uno yatch che solca l'oceano o un sonar qualunque.
C'è da domandarsi quanta confusione ci possa essere là sotto se moltiplichiamo questi rumori per tutte le imbarcazioni e i sonar esistenti nel mondo. E allora non c'è da stupirsi se sempre più balene si spiaggiano, poiché, confuse dai rumori subacquei, perdono l'orientamento.

Buona serata, a voi che leggete! :)


16 gennaio 2012

Domenicanon #01

Domenica
Domenicanon
Domenica Non...

E' iniziata nel peggiore dei modi, e non potevo aspettarmi niente di diverso dopo la violenza cardiaca che ho deciso di auto infliggermi sabato sera. Due birre medie bionde, due rhum e pera, un panino napoletano e una baguette porchetta e fontina. Passi per gli alcolici ma il resto era un concentrato assurdo di strutto, uova e pancetta. Se poi a servire il tutto è un gaudente signore napoletano, dalla chiacchiera facile, non te ne accorgi mica che stai facendo una cavolata. E se poi scopri che dietro al bancone c'è anche Mario Bianco...

...chi è Mario Bianco?


Spero abbiate compreso quanto il trash emanato da quel locale abbia inibito in me qualsiasi istinto basilare di sopravvivenza. E se anche voi, una sera al quadrilatero, soffrirete di manie autodistruttive e lesioniste (marchetta in arrivo!) fatelo un salto al Cornetti Night.

Le inevitabili conseguenze di tutto ciò sono state la mancanza di sonno, un cervello pulsante per tutta la notte e una sveglia spenta senza batter ciglio. Due sveglie. Tre. Quattro. Cinque. Undici.

Sono le 11.

Il panico da ritardo si è fatto rapidamente spazio a pugni tra le vene ostruite rimettendomi al mondo come neanche un secchio d'acqua gelata può fare. Già, panico puro, perché quella mattina, oltre alle foto del blog, avrei dovuto scattare anche per un lavoro. Il tutto entro le 14 e 30. La "Domenica Non" doveva ancora iniziare.

Fiondatomi giù dal letto in 10 minuti ero già diretto verso la prima destinazione, in macchina. Quella di cortesia visto che la mia povera Polo è ancora in prognosi riservata. Arrivato a destinazione, scendo, apro il baule. Il cavalletto. Dove c...


Nell'istante in cui mi accorgevo di aver praticamente gettato alle ortiche un'intera mattinata, mi rendevo conto di quanto il mio abbigliamento fosse inadeguato per la temperatura esterna, siderale. Tremebondo e sconsolato ho iniziato così a scattare.


La Torino di domenica lontano dal centro è desolata, ed è desolante notare come molti luoghi con un potenziale immenso, e un passato importante, siano abbandonati a loro stessi. E dire che dal 2006 di anni ne sono passati, sei, e nessuno si è degnato di riassegnare quei luoghi ad altri scopi.





Del piccolo complesso espositivo posto ad uno dei margini del ponte olimpico non rimane che un tripudio di archi, vetrate e graffiti. Da una delle facciate è stata anche rimossa l'insegna delle olimpiadi. La gente percorre i due viali che lo attraversano, passando sotto la torre dell'orologio, unicamente per raggiungere la passerella, direzione lingotto, shopping. Torino è colma di queste contraddizioni, di queste dicotomie. Questo post vuole, vorrebbe, parlare anche di questo...





Rubato ancora qualche scatto sulla passerella torno verso la macchina, concedendomi qualche momento e una sigaretta in un parco nelle vicinanze. Sotto una gigantesca struttura ferrea, consumata dalla ruggine. Chakra. Opera del cuneese Riccardo Cordero.



El Paso, consigliatomi da un'amica, è un centro sociale in via Passo Buole 47, non lontano dalla stazione lingotto e dall'arco. L'intera cinta è ricoperta di murales, scocche di automobili e vespe d'epoca. Sul cancello principale è dipinto...

"cosa pensi di fare con quella macchina fotografica?"
"secondo te?"
"non puoi fotografare l'ingresso de El Paso!"
"ma qua fuori è un luogo pubblico, e poi voglio fotografare solo quella vespa"
"ti ho detto di no, poi la digos vede le foto e ottiene informazioni"
"grazie eh! ma non penso che alla digos gliene sbatta qualcosa delle mie foto"
"tu non puoi immaginare. Le carichi su internet vero?"
"certo"
"bravo, sei un ragazzo onesto. Se vuoi falla pure la foto..."
"no guarda, tutto ciò ha del ridicolo, me ne vado"

Rientrato dal "camper" da cui era uscito, assieme alla sua compagna, mi osservava dalla finestrella mentre tornavo verso la macchina. C'è da chiedersi quale sia la necessità di agghindare un edificio storico con tante cianfrusaglie se non puoi neanche fotografarle. E poi quelli della digos? Non sanno farle per i fatti loro le foto?

Nero, mi sono diretto verso parco Michelotti nella speranza di lasciarmi la desolazione alle spalle e di poter immortalare le sculture che popolano i suoi spazi.





Chiuso e desolato anch'esso.



Ormai preso dallo sconforto mi sono diretto verso l'ultima tappa della giornata: l'ex area industriale della Teksid, in corso Mortara. L'intera area è stata recuperata all'interno delle vecchie fabbriche, ricavando tra i suoi pilastri una cattedrale donata alla comunità, con campi polisportivi, camminamenti suggestivi, dipinti, e spazi per le famiglie. Un vero e proprio omaggio al passato industriale della città e al suo presente multiculturale.






Un lungo cavalcavia, su via Borgaro, collega il complesso alla chiesa del Santo Volto, sede della curia torinese, creando così un sorta di connessione tra due mondi storicamente opposti. L'unione ritrovata è inoltre sancita da un'epigrafe incisa sulla chiesa.




Ritornato a casa, scaricate le foto, ero convinto di aver passato una domenica decisamente mediocre, al di sotto delle mille aspettative che avevo su quei luoghi. Grandiosi, per la carità, soprattutto l'ultimo, ma privi di un lato umano immediatamente tangibile.

A chiunque, munito di macchina fotografica, sarà capitato di scattare qualche foto senza neanche guardare nell'obiettivo o nello schermo di una compatta. E' un atto dovuto a tantissimi fattori, sicuramente uno è quello di rubare un attimo reputato irripetibile, un altro quello di non turbare il soggetto di uno scatto. Riguardando le foto ho compreso un secondo significato della massima di Frank Hogart: "La fotografia è l'arte di non premere il pulsante". Se lo premi può andarti comunque bene. L'eccezione che conferma la regola.



Scusate se sono stato nuovamente prolisso!
Buona settimana!

Enrico.






La Pubblicità che Uccide!

dal Fatto Quotidiano

Cartellopoli, “stop alla pubblicità che uccide”

A Roma, si trovano nel mezzo dei marciapiedi, adiacenti alle piste ciclabili, in prossimità di monumenti storici, nei parchi della città. La Capitale è invasa dai cartelloni pubblicitari abusivi che violano il codice della strada e le norme sulla sicurezza e sull’impatto ambientale. L’associazione “Basta cartelloni” insieme alla Fondazione Guccione, all’Associazione disabili visivi, all’I.I.C.A. (l’Istituto internazionale Consumo e Ambiente), hanno segnalato al Comune di Roma centinaia di casi. “E’ uno schiaffo al decoro della città, ma è anche un problema di legalità e sicurezza” afferma Giuseppe Guccione della Fondazione Guccione onlus. “Come al solito – continua – è necessario che ci scappi il morto per attirare l’attenzione. E così è stato. Nel novembre del 2011 due ragazzi in scooter si sono schiantati contro un cartellone abusivo sulla via Tuscolana. Per questo chiediamo le dimissioni dell’assessore di Roma alle attività produttive Davide Bordoni”.
di Irene Buscemi

15 gennaio 2012

Idea di Comunità

La signora Livia ha ottantadue anni e la testa lucida, ma le gambe appannate. Mauro è un giovane alpino di sessantaquattro che le abita accanto e ogni tanto scende a fare le commissioni per tutti e due. L’altro giorno Mauro doveva andare alla Posta e ha chiesto a Livia se aveva bisogno di qualcosa. Lei gli ha messo in mano 112 euro. «Sono per il canone Rai». Mauro le ha spiegato che non era il caso: «Hai più di 75 anni e una pensione sociale senza altri redditi: sei esentata». Livia ha insistito: «Posso permettermelo». «Ma se non arrivi a 500 euro di pensione!». «Tanti stanno peggio di me. I miei soldi serviranno a coprire quelli che non metteranno loro e a migliorare i conti della Rai, che nonostante tutto mi tiene compagnia». Pare faccia lo stesso con certe medicine che paga anche quando non dovrebbe, perché chi è fatto così è così sempre, nella vita.

Non sarei capace di ragionare come Livia. E ho le mie ragioni, sia chiaro. Il canone viene evaso in massa, ci sono regioni dove i pochi che lo pagano vengono considerati marziani. E andare in soccorso dei bilanci della tv pubblica equivale a battersi per salvare l’onore di una anziana meretrice: un’impresa assurda, oltre che disperata. Però non sono le persone come me a tenere in piedi questa baracca chiamata Italia. Sono quelle come Livia. Che non lanciano accuse, non cercano alibi, non fanno paragoni. Hanno un’idea di comunità nella testa e le rimangono fedeli con rettitudine, senza sentirsi né vittime né eroi. Semplicemente normali.

Link al Buongiorno di Gramellini "Nonna Rai", 14 Gennaio 2012.
Lo so, ho cambiato titolo, mi piaceva di più il mio! :)

14 gennaio 2012

Libri per ragazzi (e ragazze)


Tratto dal sito di Fabio Geda . (clicca sul link per visualizzare la pagina)

Faccio un sunto di un articolo interessante uscito su D La Repubblica del 21 dicembre in merito all’editoria per ragazzi (scritto da Lara Crinò). La riflessione parte dal gesto dell’editore americano Little, Brown che pare abbia acquistato due pagine sul New Yorker per invitare i genitori, tra i quali Obama e consorte, a impegnarsi per promuovere la lettura tra gli adolescenti maschi – esatto: maschi – che pare leggano talmente poco da soffrire di un vero e proprio “literary gender gap” rispetto alle loro coetanee femmine, un dislivello in grado di influenzarne le carriere scolastiche fino all’università.
Le competenze linguistiche influenzano l'apprendimento: è l'idea alla base dell'826 Valencia e di esperienze come la Grande Fabbrica delle Parole.
In Italia? Secondo la più recente indagine NielsenBookScan l’editoria per ragazzi resta, in piena crisi generale, un settore trainante, al punto che tra il 2010 e il 2011 è persino cresciuta. Poco, ma è cresciuta. Però, a quanto pare, anche in Italia questo successo è declinato soprattutto al femminile. L’Istat indica che il  70% delle adolescenti si dichiarano lettrici, mentre tra i maschi già a quindici anni i non-lettori prevalgono sui lettori.
Lara Crinò nota poi come i modelli culturali femminili offerti in televisione siano differenti da quelli offerti dai libri. In televisione è tutto rosa e laccato, le bambine sono risucchiate nei clichè soliti della bella ammaliatrice o della bruttarella secchiona e le pubblicità promuovono kit per diventare stilista, minicarrelli per la spesa eccetera, mentre in libreria si trovano storie di principesse, sì, ma anche di scienziate e guerriere.  Antonio Monaco, coordinatore del gruppo Editori per ragazzi dell’Aie, ipotizza che questo sia dovuto al fatto che nel mondo editoriale lavorano molte donne, in grado, quindi, di imporre libri non appiattiti sugli stereotipi.
Sarà davvero così? A me sembra che anche nel mondo della letteratura per ragazzi i clichè si sprechino e che, in ogni caso, siano quelli a vendere di più. Poi certo, ci sono anche offerte alternative, ma forse perché sono molti di più i libri pubblicati dei giocattoli o dei cartoni animati prodotti. Di certo una libreria offre più scelta di una qualunque televisione o di qualunque Toys Center. Questo sì. Evviva la biblio-diversità!  
Nell’articolo si nota poi come il fantasy sia il genere letterario transgender per eccellenza, come accomuni ragazzi e ragazze e, a volte, anche generazioni diverse. Anche se alla base di tutto, dice Beatrice Masini, resta l’identificazione: se i ragazzi si identificano nei personaggi allora leggono, se non si identificano non leggono. Le strade da percorrere per permettere ai ragazzi di identificarsi? Sono due: l’amore e la quotidianità, andando, in entrambi i casi, a scavare nelle ansie, nei dubbi e tra le speranze che quell’età, segnata dalla ricerca affannosa della propria identità, si porta dietro.
Quello che non si dice nell'articolo - e che varrebbe la pena indagare - è che certi intellettuali, e anche non pochi lettori, sembrano pensare che esistano libri buoni e libri cattivi. E non tanto in riferimento ai messaggi che i libri veicolano dal punto di vista dell'etica o della morale, no, semplicemente a partire dalla (secondo loro) eccessiva fruibilità, o forse perchè li leggono anche quelli che di solito verrebbero definiti non-lettori. Sara vero? Esitono libri così facili da leggere da far danno al lettore? Se sì quali sono?
Altra cosa che non si dice nell'articolo - e che varrebbe la pena indagare - è come accompagnare i ragazzi oltre le loro letture adolescenziali. Come aiutarli a far crescere le emozioni, e di conseguenza a cercare nuovi libri, più complessi, che quelle emozioni andranno a nutrire. Come farli transitare da Twilight a Il mio nome è Asher Lev (giusto per citare un libro sul crescere e sullo scoprire se stessi da me molto amato)?

13 gennaio 2012

Cento per cento Americano


"Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell’India; o di lino, pianta originaria del vicino Oriente; o di lana di pecora, animale originariamente addomesticato nel vicino Oriente; o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente. Si infila i mocassini inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est, e va nel bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane, entrambe di data recente. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egiziani. Tornato in camera da letto, prende i suoi vestiti da una sedia il cui modello è stato elaborato nell’Europa meridionale e si veste. Indossa indumenti la cui forma derivò in origine dai vestiti di pelle dei nomadi delle steppe dell’Asia, si infila le scarpe fatte di pelle tinta secondo un procedimento inventato nell’antico Egitto, tagliate secondo un modello derivato dalle civiltà classiche del Mediterraneo; si mette intorno al collo una striscia dai colori brillanti che è un vestigio sopravvissuto degli scialli che tenevano sulle spalle i croati del XVII secolo. Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene a contatto con tutta una nuova serie di elementi presi da altre culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina; il suo coltello è di acciaio, lega fatta per la prima volta nell’India del Sud, la forchetta ha origini medievali italiane, il cucchiaio è un derivato dell’originale romano. Prende il caffè, pianta abissina, con panna e zucchero. Sia l’idea di allevare mucche che quella di mungerle ha avuto origine nel vicino Oriente, mentre lo zucchero fu estratto in India per la prima volta. Dopo la frutta e il caffè, mangerà le cialde, dolci fatti, secondo una tecnica scandinava, con il frumento, originario dell’Asia minore.
Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera delle sedie e fuma, secondo un’abitudine degli indiani d’America, consumando la pianta addomesticata in Brasile o fumando la pipa, derivata dagli indiani della Virginia o la sigaretta, derivata dal Messico. Può anche fumare un sigaro, trasmessoci dalle Antille, attraverso la Spagna. Mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale inventato in Cina e secondo un procedimento inventato in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano”.
RALPH LINTON, "Lo studio dell'uomo"

12 gennaio 2012

Quando muore una lingua


Con la scomparsa dei linguaggi tribali perdiamo una visione della vita, della morte e del mondo che non tornerà mai più.


Si estinguono come le specie animali, anzi, più velocemente. Le lingue muoiono al ritmo di una ogni 2 settimane. Si stima che, nel giro di un secolo, dei 7000 linguaggi oggi parlati ne rimarrà solo metà. A richiamare l'attenzione su questa «strage» è l'organizzazione Survival International. Nel 2008 è scomparsa l'ultima persona che custodiva l'Eyak, parlato in Alaska. L'anno scorso è stato il turno di Boa Senior, che si è portata con sé la lingua di una delle culture più antiche del mondo, quella dei Bo, che hanno abitato le Isole Andamane per 65.000 anni. 

Si contano sulle dita di una mano gli ultimi detentori dello Yurok della California, dello Yawurudell'Australia e del Siksika, parlato dai Piedi Neri dell'America del Nord. L'Innu, in Canada, perde terreno per la «concorrenza» di inglese e francese, insegnati nelle scuole. La scomparsa dei linguaggi tribali non documentati implica, per il linguista Daniel Everett «una perdita inestimabile di espressione di humour, conoscenza, amore, e la gamma intera dell'esperienza umana. Un'antica tradizione, un mondo di soluzioni alla vita è perso per sempre. You can't Google it and get it back». Non puoi digitarlo su Google e riaverlo indietro. «Quando noi perdiamo una lingua" spiega K. David Harrison nel libro When Languages Die, «perdiamo secoli di pensiero umano riguardo al tempo, alle stagioni, alle creature del mare, alle renne, ai fiori commestibili, alla matematica, ai paesaggi, ai miti, alla musica, allo sconosciuto e al quotidiano». 
Dall'India all'Oregon, dalla Bolivia alla Siberia, Harrison viaggia per registrare le lingue in pericolo, con l'Istituto Living Tongues per le Lingue in via di estinzione, di cui dirige la Ricerca. Nelle lingue tribali si nascondono i segreti per la sopravvivenza in ambienti ostili e infinte conoscenze sulla natura e sul clima. Basti pensare che gli Inuit hanno molti modi per nominare i vari tipi di neve, ma non un'unica parola per riferirsi a essa. Lo stesso flusso della Storia è registrato diversamente dalle lingue orali e un termine può racchiudere molto più del suo significato. In Ghana, scriveRyszard Kapuscinski, la tribù dei Nankani sfregia il viso ai neonati, per renderli merce poco desiderabile agli occhi degli schiavisti bianchi. Per questo popolo la parola brutto equivale a libero.

Ilaria Lonigro
D - la Repubblica 12.01.2012

8 gennaio 2012

Domenicanon #00

Suppongo di aver acconsentito di collaborare a questo blog l'altra sera. Dicendo "suppongo" intendo di non ricordare assolutamente il momento esatto in cui le mie labbra hanno pronunciato il fatidico "" al cospetto di Enrico "Muscio" Lomuscio. Dicendo "l'altra sera" alludo al fatto di non ricordare assolutamente che giorno della settimana fosse. Uniche certezze: l'anno era il corrente; ero sotto l'effetto di liquori e spiriti vari; ero a stomaco vuoto da circa 13 ore; ero ipo-motorizzato causa incidente. Mi fa sorridere notare come qualche anno prima, in condizioni simili, accettai di contribuire ad un altro blog. Sempre con il "Muscio". Mmm.

Un passo alla volta.

Tutto inizia in una serata dell'anno scorso, il 29 dicembre. L'anno scorso... Adesso mi piacerebbe divagare e sproloquiare sulla classica cazzo (si può dire "cazzo" qua?) di battuta da ultimo dell'anno, con la quale ci si da appuntamento per l'anno successivo: "oh! ci vediamo il prossimo anno!". Quale regione del nostro cervello ci impone di riderne e di proferirla a nostra volta tutti i santi anni?

Dicevo...

Tutto è iniziato in quella serata, l'ultima di lavoro per me dell'anno, che gioia. Una ragazza, sulla trentina, sicuramente sbronza, forse anche un po' fatta, decise attorno alle 19 che il suo cofano doveva conoscere ad ogni costo il mio baule. Letteralmente. L'inerzia ha poi in seguito sancito che il baule dell'Alfa che mi precedeva era troppo invitante per il mio di cofano. Il caso ha infine sentenziato che io quella sera stessi raggiungendo una ragazza per un aperitivo. Aperitivo che ovviamente non ha mai avuto luogo. Ripeto, che gioia.

Che poi pensandoci bene vorrei augurarlo a tutti un tamponamento di fine anno, con ragione si intende, e senza distorsioni dorsali e/o cervicali. Solo quel che basta per mollare la macchina in qualche carrozzeria della cintura e godersi le feste tranquillamente. Sì perché le preoccupazioni da palloncino, parcheggio, rincari benzina ecc. senza autovettura scendono improvvisamente a zero e il tempo acquisisce un gusto nuovo, soprattutto a Torino, dove la mobilità pubblica sta all'efficienza come una cernia sta fuori dall'acqua.

Dal 29 in poi i miei ricordi sono composti da mille flash di feste e festicciole. Un sacco di eventi temporalmente disconnessi. Fino alla giornata del 6 gennaio, giorno in cui ho ricevuto l'invito di collaborazione via mail.

Tutta sta roba per dire cosa? Cosa? COSA? Calmi, adesso ci arrivo.

Come vi ho detto la mancanza di un'autovettura mi ha permesso di darmi alla pazza gioia con i folleggiamenti e di apprezzare maggiormente il tempo speso tra passeggiate e attese sulla pensilina. L'unico effetto collaterale è stato l'assenza più totale di una foto, di un video, di un papiro, di una cicatrice, di un qualcosa, che potesse documentare quanto successo nei giorni a cavallo tra questi due anni.

Il 7 gennaio, cioè questo sabato, cioè ieri sera, ho avuto una sorta di illuminazione. Ho deciso, sospinto da mille ragioni, delle quali vi rivelerò solo la più debole, di dare un senso alle mie domeniche venture. Mi sono domandato, da giovane provato dai postumi da sabato sera: che cosa diamine succede la domenica mattina/pomeriggio in una città come Torino?

Quindi stamane (ieri mattina rispetto alla pubblicazione di questa sparata) mi sono deciso a partire, armato di Canon, da San Paolo, giù per la Crocetta e San Salvario, passando dal Valentino e ritorno, scatto dopo scatto.

Tornato a casa, scaricate le foto, riposati i piedi, mangiate le tagliatelle ai funghi, ho avuto la seconda illuminazione del weekend (grazie ai funghi mi sa): scrivere qualcosa su questo blog. Si ma cosa? Niente! O almeno molto poco. L'idea di questa rubrica è quella di condividere con cadenza, spero, settimanale, le foto raccolte nelle mie domeniche ritrovate. Da qui Domenicanon. Domenicano che sarei io, e Canon che sarebbe la mia reflex acquistata con tanti sacrifici. Probabilmente senza questa rubrica, e senza te, starebbe a far polvere.

Ci sono luoghi di Torino abbandonati e fatiscenti, appartenenti ad un passato industriale non lontano. Un passato condiviso e vissuto dalla maggior parte delle persone che popolano la domenica torinese. Si perché ci sono solo anziani la domenica mattina a Torino.



No non è vero, ci sono anche un sacco di giovani, famiglie e adulti. Solo che essendo io piuttosto lento di riflessi non mi riesce di catturare in uno scatto gente che fa jogging, bambini che si dimenano e relativi genitori che li inseguono preoccupati. Mi è più facile cogliere i loro ritmi e le loro pose.

Ho il tempo di impostare l'otturazione, regolare il diaframma, impostare l'esposimetro, fare qualche scatto e farne ancora un altro se non mi convince qualcosa. Girarmi una sigaretta, attendere che una nuvola lasci nuovamente spazio alle ombre, e scattare ancora. Tanto loro stanno lì. Alcuni guardano la gente che passa lesta sul viale, altri ammirano estasiati un cantiere in pausa, altri ancora armeggiano spavaldamente con il cellulare regalato dai figli, forse dai nipoti, con i soldi dei figli.


Alcuni passeggiano pascolando i loro amici a quattro zampe su un prato o lungo un muro ricoperto di scritte e graffiti. Chissà cosa pensano di noi giovani mentre leggono insulti, dediche e neologismi impressi sul calcestruzzo con una bomboletta nera. Chissà se le leggono poi quelle robe. Secondo me sì, ottimo materiale per conversazioni da bocciofila o da pranzo in famiglia.


Poi mi chiedo dove stanno i giovani, quelli con i postumi, quelli che hanno di meglio da fare che fotografare anziani da pubblicare in un blog. Alcuni dormono, altri riordinano la stanza abbandonata durante la settimana, altri ancora cercano di finire l'elaborato da consegnare il lunedì mattina in facoltà.

Non ci sarà traffico, non ci sarà frenesia lavorativa, ma a me la domenica mette comunque ansia. Non far niente mi mette ansia. Vabbè. Sarò workaholic.

Spero di non aver turbato qualcuno, parlare di anziani mette sempre un po' d'ansia.
Questo era il primo post di quella che spero possa essere una rubrica regolare.
Spero di essere meno prolisso la prossima volta.
Sono Enrico Cicconi, studio e lavoro.
Alla prossima!